Cosa sono i microstock


Si sente sempre più spesso parlare di microstock. Ma cosa sono? Ecco un’analisi di questo fenomeno e alcuni consigli sia per chi vuole servirsene per comperare immagini a prezzi contenuti, sia per i fotoamatori e i professionisti che vogliono vendere le proprie immagini.

Le agenzie fotografiche tradizionali, come Corbis e Getty Images qualche anno fa hanno iniziato a tremare quando si è fatto strada il fenomeno microstock. Poi sono corse ai ripari aprendo o acquistando il loro sito di microstock, come ha fatto Getty con iStock e come aveva fatto Corbis con Veer, che però ha chiuso nel 2106, stringendo un accordo con iStock per la successione (ora il dominio www.veer.com infatti rimanda al sito del gruppo Getty). Piccole case editrici, service editoriali alle prese con brochure aziendali, agenzie pubblicitarie e siti web hanno iniziato invece a gongolare. E i fotoamatori evoluti, per i quali le porte delle grandi agenzie fotografiche erano quasi sempre invalicabili, hanno iniziato ad avere la possibilità di vendere le loro foto e illustrazioni. Con guadagni che possono diventare veramente interessanti per chi ha la pazienza di caricare almeno qualche centinaia di foto di livello accettabile su questi siti. Livelli di guadagno che hanno convinto anche tanti professionisti, che in un primo tempo criticavano i microstock, a non trascurare questo modello di vendita. È vero che si guadagna mediamente un dollaro a foto (si incassa da 20 centesimi in su per le foto vendute), ma un buon fotografo professionista riesce a venderne decine di migliaia al mese.

Ecco quindi le ragioni della lenta e inarrestabile avanzata dei microstock, siti che contengono milioni di fotografie royalty free che si possono comperare anche a meno di una ventina di centesimi di euro l’una (con le formule di abbonamento annuale). Le grandi agenzie di foto right managed e di stock tradizionale tremano perché hanno visto calare le vendite delle foto che avevano in archivio e che piazzavano a una media di 200 euro l’una. Tanto che Getty Images, come abbiamo accennato all’inizio, dopo un primo momento di disorientamento ha acquistato iStock, il primo sito di microstock ad essere stato creato, e Corbis ha mollato l’osso (dopo aver tentato con SnapVillage e Veer). Anche Adobe si è accorta del potenziale dei microstock, tanto che ha acquistato Fotolia e ora offre il servizio parallelo Adobe Stock, completamente integrato nella sua Creative Cloud. Chi usa programmi come Photoshop, Bridge, Lightroom, Indesign e gli altri della CC può comprare direttamente contenuti e venderli tramite Adobe Stock. Uno strumento formidabile per grafici, fotografi e illustratori.

Il fatto è che sempre più aziende editoriali e pubblicitarie preferiscono comperare le foto dei microstock, visto che quelle tradizionali hanno limiti pesanti di impiego: il prezzo varia in base alla tiratura della rivista su cui è pubblicata, delle dimensioni di pubblicazione, della posizione (se è in copertina costa molto di più) e la si può usare una volta soltanto. Una foto di microstock, invece, una volta acquistata a un prezzo medio di pochi euro (ma anche poche decine di centesimi, per chi si abbona) può essere usata un numero illimitato di volte. Una vera manna per chi non può permettersi i prezzi delle foto tradizionali. E anche per i privati che vogliono abbellire i loro siti o blog spendendo una manciata di euro.

Ma come mai c’è questa grande differenza di prezzi tra le agenzie fotografiche tradizionali e i microstock? Grazie a quello che chiamano il Web 2.0, probabilmente. La rete fatta da chi la usa. Alle agenzie tradizionali potevano riovlgersi soltanto i fotografi professionisti, che avevano centinaia o migliaia di scatti da proporre tutti insieme. E tutti di ottima qualità. Ai microstock possono accedere invece tutti, anche chi ha una sola foto. E se è bella, e passa la selezione, la possono vendere. E accettano di venderla per pochi soldi, visto che molti non sono fotografi professionisti, cosa che non farebbero i fotografi delle agenzie tradizionali. E poi c’è il concetto vincente delle foto con licenza royalty free, che prevede che il prezzo del suo acquisto (si compera e si può scaricare immediatamente) consenta di ottenere una licenza per usare la foto senza limiti di tempo e per tutte le volte che si vuole. Le normali foto di agenzia invece si possono usare una sola volta, in linea di massima, e nell’arco di tempo specificato.

Zoom sui principali microstock

La licenza royalty free permette di scaricare foto a prezzi diversi in base all’uso che se ne intende fare. Nel caso di Fotolia/Adobe Stock, tra i principali archivi di contenuti royalty free con oltre 75 milioni di file in archivio (foto, video, illustrazioni), ad esempio, il prezzo varia in funzione delle dimensioni dell’immagine e del livello del fotografo. Si acquistano crediti e in base alla risoluzione prescelta e al tipo di licenza si consumeranno più crediti per acquistare una singola foto. Oltre alle dimensioni si paga anche per il tipo di licenza. Se l’immagine viene utilizzata per illustrare siti web, presentazioni, documenti, brochure, cataloghi, articoli di stampa basta una licenza standard, mentre se l’immagine viene riprodotta su un bene dove il valore aggiunto dell’immagine è dominante rispetto al prodotto finito (come un calendario, una maglietta, una cartolina) è necessario acquisire una licenza estesa che può costare anche oltre 50 euro. Il fotografo, a seconda del suo livello e del fatto che abbia dato o meno l’esclusiva a Fotolia, ha un guadagno che parte da circa il 20% del prezzo di vendita.

Più o meno sulla stessa lunghezza d’onda Dreamstime, altro frequentato microstock. Il prezzo di una foto in questo sito aumenta in base al numero di download che ha avuto. Anche in questo caso il guadagno percentuale per il fotografo cambia in funzione del fatto che sia un fotografo in esclusiva totale su Dreamstime o dal fatto che la singola foto sia o meno in esclusiva. Anche in questo caso le licenze estese costano di più.

Passiamo a iStock, che viene ritenuto da numerosi addetti ai lavori come il sito di microstock che contiene mediamente le immagini di qualità più elevata. Buona cosa per chi compera e non vuole passare in rassegna anche gli altri microstock per cercare su tre o quattro siti l’immagine migliore, visto che qui ha buone probabilità di trovarne velocemente di buone. Ma dal punto di vista di chi cerca di vendere le foto a questo microstock è bene sapere che la selezione di ingresso è molto rigida: finché non vengono approvate tre immagini campione non si ha diritto a sottoporre liberamente le foto. Le valutazioni su queste foto campione sono molto severe e se sono state bocciate, come accade spesso, per riproporle bisogna aspettare alcune settimane.

Un altro sito molto interessante sia per chi compera fotografie e sia per chi le vuole vendere è Shutterstock. A differenza degli altri siti citati in questa pagina punta tutto sulle vendite in abbonamento. Ci sono poi i pacchetti on demand, che permettono di scaricare qualsiasi immagine nell’arco di un anno. Shutterstock è nel complesso una buona scelta (per i fotografi l’indirizzo da digitare per proporre le foto è questo) per i collaboratori. Per chi compera e ha bisogno di tante foto nell’arco di un mese è una scelta altrettanto buona. Assolutamente da provare.

Interessante per chi compera le foto è stato negli anni scorsi Depositphotos, un microstock che ha fatto passi da gigante grazie a una politica di prezzi estremamente aggressiva. Negli ultimi tempi i suoi prezzi sono però rientrati nella media dei microstock. I fotografi vengono pagati bene, in base al loro livello (determinato dal numero di foto che hanno venduto) e al fatto di aver dato o meno l’esclusiva a questo sito. Le vendite sono discrete.

L’esclusiva

Non conviene, secondo il nostro parere, affidare le foto in esclusiva le foto a un microstock (anche se la percentuale di guadagno è più alta), ma che è meglio proporle a tutti. Tantomeno non conviene essere esclusivi totali di un’agenzia: vuol dire che non potremo proporre agli altri microstock nessuna foto, nemmeno quelle scartate dal microstock su cui siamo in esclusiva. E i criteri dei selezionatori non sempre sono chiari: capita a volte che venga bocciata una foto che in un’altra agenzia ha venduto centinaia di volte. Senza esclusiva aumentano decisamente le possibilità di vendita, e il guadagno minore è compensato dalla quantità ben superiore di licenze vendute. I selezionatori di Dreamstime sono piuttosto rigidi nella selezione, al pari di quelli di Fotolia/Adobe Stock che negli ultimi tempi ha introdotto criteri più ferrei rispetto a quelli un po’ più elastici dell’avvio, quando doveva fare magazzino. Anche Shutterstock è piuttosto severo, mentre iStock è sicuramente il sito che ha la selezione più impegnativa (anche se recentemente la selezione è più morbida). Depositphotos e 123rf sono invece tra i più tolleranti. Ogni microstock ha criteri leggermente diversi e molti selezionatori e non ci dobbiamo sorprendere se una foto rifiutata perché definita carente dal punto di vista tecnico da un sito, o ritenuta poco adatta per la pubblicazione, venga accettata da un altro sito.

Foto sì e foto no

Per incrementare le possibilità che le nostre foto vengano accettate, e soprattutto vendute, dobbiamo attenerci a una serie di direttive inderogabili. I microstock non sono come le agenzie che vendono foto ai giornali che le usano per illustrare pezzi di cronaca. I clienti sono designer, grafici, piccoli e medi studi che comprano le foto per impieghi che spaziano dalla brochure di un prodotto a una pubblicità su un giornale locale, dalla decorazione per una tazzina all’abbellimento di una pagina web.

Le immagini proposte non devono quindi contenere marchi registrati, oggetti coperti da copyright, volti riconoscibili di persone a meno che non abbiamo la loro liberatoria. Niente foto di telefonini con il marchio visibile. E nemmeno immagini con la Tour Eiffel illuminata, perché le sue luci sono tutelate da diritti. Anche nelle panoramiche di città bisogna stare attenti a non inviare foto che contengano marchi visibili, posti ad esempio sui tetti degli edifici o su una pubblicità stradale. Vietati anche i contenuti pornografici, ovviamente. Nei microstock che hanno la sezione editoriale, che contiene foto che non possono usate per scopi commerciali ma inerenti al diritto di cronaca, possono essere invece caricate anche foto con logo, persone riconoscibili, proprietà private. Quasi tutti i microstock hanno ormai una sezione editoriale, escluso Fotolia/Adobe Stock.

Una volta stabilite le immagini che non si possono inviare, dobbiamo individuare i temi e i soggetti che possono essere ritenuti interessanti dagli acquirenti. Una bellissima foto di un tramonto, ad esempio, sarà probabilmente accettata ma avrà scarse probabilità di essere venduta. Uno still life di una tazzina di caffè ben realizzato e con un tocco di creatività che lo distingua dalle altre centinaia di tazzine depositate sarà venduto più facilmente. Per renderci conto di quali sono le immagini più vendibili possiamo sfruttare un’altra opzione interessante di quasi tutti i microstock: guardare le foto più vendute alla creazione del sito o negli ultimi mesi, settimane, giorni.